estratto da Tutta colpa di Natale
Una bomboniera da trentasei metri quadrati… ma tra un po’ devo dirle addio
Il fatidico venerdì del grande incontro è arrivato.
A seguito di una settimana di isteria corredata di pianti improvvisi alternati a depressione e scorpacciate di gelato.
Una settimana dove tenevo in piedi fino alle tre del mattino la mia amica Bridget per farmi tranquillizzare al telefono perché non mi sentivo all’altezza di questo incontro.
Una settimana durante la quale Luke ha evitato di chiedermi qualsiasi cosa, convinto che avessi il ciclo mensile.
Periodo in cui lui sa che sono intoccabile perché mordo.
Ho comprato un abito nuovo, scarpe nuove e perfino una nuova borsetta.
Quando mi sono resa conto di quanto avevo speso ho sperato che Luke mi affidasse anche una nuova commessa perché al mio conto corrente serviva urgentemente una boccata d’ossigeno.
Venerdì sera alle sei precise Bruce mi viene a prendere nel mio appartamento, minuscolo ma arredato divinamente.
Non per vantarmi ma sono riuscita a ottimizzare ben trentasei metri quadrati trasformandoli in una bomboniera a misura di una giovane single.
Un po’ mi dispiace l’idea di lasciare questo posto dove vivo da tre anni, che ho arredato pezzo per pezzo tutto da sola, dove di notte sento i tredici gatti della signora Thompson del piano di sopra che fanno la lotta ringhiando.
Dove litigo un giorno sì e l’altro pure con il signor Yoko, il mio vicino settantenne con la passione dei bonsai.
Si dedica da sempre a questa arte e ancora oggi le sue pianticelle si trasformano in mostruosi rampicanti che invadono ogni cosa, anche il mio mini balconcino strangolando le mie amate rose.
Tre anni a ricevere la corrispondenza della misteriosissima signorina Mitchell del quattro b, misteriosa perché una signorina Mitchell in questo palazzo non ha mai abitato, almeno negli ultimi cinquant’anni, ho fatto le mie ricerche.
Tre anni dove tutti i sabato mattina mi tocca subire le reprimende di miss Caldwell, la mia vicina di pianerottolo ed ex insegnante elementare.
Appena accendo la musica e canto a squarciagola, eh sì ammetto che non riesco a resistere, soprattutto con la musica dance, suona il mio campanello, io apro e lei con un’espressione di rimprovero dipinta sul viso spigoloso mi fissa con gli occhietti a spillo nascosti dietro a due piccole lenti rotonde e spesse sorrette da un naso aquilino.
Poi parte con un panegirico da far venire il latte alle ginocchia a chiunque.
Non invidio i suoi ex alunni.
Uno sproloquio condito dalle parole: rispetto, prossimo, silenzio, sacrosanto diritto alla quiete, bla bla bla, che dura circa otto minuti, una volta li ho contati.
Poi si volta e se ne va.
Io non ho ascoltato nemmeno una parola, lei lo sa, ma il sabato successivo la scena si ripete identica.
Probabilmente è l’unico modo che ha trovato per comunicare con me.
E forse con il resto del mondo perché ho saputo che fa la stessa cosa con tutti i condomini del nostro piano.
Con me per la musica, con un altro per la lavatrice, con un altro per la televisione, oppure per lo sciacquone del water, o ancora perché ha starnutito disturbandola.
Ogni tanto ci penso che la prossima primavera mi sposerò e lascerò tutto questo per trasferirmi in un attico in centro con tre stanze da letto, due bagni, un soggiorno grande come due volte il mio attuale appartamento e un terrazzo che domina Londra e realizzo che forse no, non mi mancherà poi così tanto tutto questo.
Sono certa che mi abituerò a tutto quel lusso.